Coronavirus, qual è stato il percorso riabilitativo dopo l’infezione

Guido MB News Simfer

Valutazioni dopo la prima fase acuta dell’epidemia con i pazienti severi: dopo la malattia l’ossigenazione del sangue talvolta è scesa anche a posteriori sotto il 90%, mentre si fanno le scale o camminando, anche senza avvertire mancanza di fiato

Coronavirus, qual è stato il percorso riabilitativo dopo l'infezione

Chi è stato ricoverato in ospedale per Covid-19 ha avuto quasi sempre bisogno di un periodo di riabilitazione per recuperare le abilità respiratorie e motorie compromesse dalla malattia. Il paziente dimesso, soprattutto dopo un periodo in terapia intensiva, può accusare oltre alla compromissione della funzionalità polmonare anche perdita di forza e massa muscolare, disturbi cognitivi,emotivi-relazionali, disfagia (difficoltà nella deglutizione), disturbi neurologici, peggioramento delle condizioni cliniche preesistenti. Il percorso di recupero è lungo e graduale, a volte tortuoso, non sempre scontato. Da un’analisi preliminare della Simfer (Società italiana di medicina fisica e riabilitativa) su 47 strutture di degenza riabilitativa, la maggior parte dei pazienti entrati nella prima fase dell’epidemia ha sofferto a posteriori di insufficienza respiratoria di grado lieve o moderato con strutture che hanno avuto fino al 30% di casi severi e fino al 20% di casi critici.

Le richieste

«Abbiamo visto che in Lombardia — testimonia Michele Vitacca , responsabile della Pneumologia riabilitativa Ics Maugeri di Brescia — il 70% dei pazienti ancora infetti dopo le dimissioni ha avuto bisogno di essere spostato in un cosiddetto ambiente intermedio: di 1° livello per i pazienti più critici che avevano bisogno di riabilitazione respiratoria, di 2° livello per i malati meno gravi che sono stati spostati in ambienti socio assistenziali tipo RSA con una permanenza di circa 15 giorni. Dopo questo periodo intermedio, dopo la negativizzazione al tampone, i pazienti meno fragili sono stati mandati a casa mentre per gli altri (circa un 30%) è partito un nuovo ciclo di riabilitazione respiratoria, motoria e psichiatrica».

La durata della riabilitazione

Intensità e durata della riabilitazione dipendono, in linea generale, da quanto è stata lunga la degenza. «I più debilitati sono stati i pazienti che hanno vissuto per settimane in terapia intensiva — commenta Marta Lazzeri, presidente dell’Associazione Riabilitatori dell’Insufficienza Respiratoria (Arir) — ma anche per chi ha trascorso anche due settimane nei reparti di malattie infettive o pneumologia è stato quasi sempre necessario un periodo di riabilitazione». Per chi è reduce dalla terapia intensiva può essere necessario un percorso di almeno 2-3 settimane. Per gli altri pazienti possono bastare 5-10 giorni. Tutti in genere proseguono il percorso in ambulatorio (se negativizzati) o con la telemedicina, in autonomia da casa, come integrazione agli interventi eseguiti di persona. «La telemedicina e la teleriabilitazione sono in grado, in misura anche maggiore rispetto all’opinione comune, di dare risposte e soluzioni realmente efficaci a diverse tipologie di pazienti» commenta Pietro Fiore, Presidente della Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa (Simfer).

Test di valutazione

Ogni paziente va però valutato a sé con un programma mirato e personalizzato. «Va fatto un test di valutazione in fase di dimissione — avverte Lazzeri — e chi torna a casa senza passare da una struttura non deve affidarsi ai video tutorial su Youtube perché ogni situazione è diversa. Abbiamo notato che talvolta nei pazienti dimessi, quando fanno le scale o camminano, si è abbassata l’ossigenazione del sangue ben al di sotto del 90%, anche se non avvertono mancanza di fiato. Questa è una caratteristica di Covid-19 molto pericolosa. Per questo la parola d’ordine è gradualità».

Due gruppi di pazienti

I pazienti che giungono all’attenzione dei reparti di riabilitazione appartengono a due grandi gruppi. «Il primo è costituito — spiega Pietro Fiore — dalle persone che si sono ammalate per una polmonite da Covid in cui talvolta è stato necessario un supporto con caschi o ventilazione meccanica. Il secondo gruppo è composto da pazienti che hanno contratto il Covid in associazione a un evento disabilitante acuto o pregresso (ad esempio la frattura del femore, l’ictus, l’infarto) e sono le persone più fragili perché alla sintomatologia legata a Covid (febbre, tosse, difficoltà respiratorie) si associa la sintomatologia tipica della disabilità in corso. La condizione che accomuna tutti i pazienti è l’estrema fatica, la difficoltà di movimento, i disturbi legati alla sfera cognitiva-relazionale».

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