Sdo riabilitativa, nomenclatore tariffario, prescrizione degli ausili e continuità ospedale-territorio sono i temi di attualità del congresso Simfer 2023. Anamnesi ed esame clinico vengono prima di digitalizzazione, robotica e interventistica
“La riabilitazione tra passato, presente e futuro. Chi eravamo, chi siamo, chi vorremmo essere”: già con la scelta del titolo, il congresso nazionale della Società italiana di medicina fisica e riabilitazione (Simfer) si propone come un importante momento di riflessione su una professione in continua evoluzione.
Giunto alla sua 51esima edizione, il congresso si tiene dal 12 al 15 ottobre a Bologna, con l’obiettivo «di ripercorrere la storia della nostra disciplina a partire dai fondamenti fino alle attuali applicazioni, sempre più tecnologiche, con l’obiettivo di capire e di trasmettere alle nuove generazioni di fisiatri quali siano le indispensabili eredità del passato da mantenere come base per le prospettive future su cui investire per una riabilitazione evidence-based, efficace e di concreto impatto per il paziente».
A presiedere il congresso sono Ernesto Andreoli, direttore della Uoc di Medicina fisica e riabilitazione dell’Azienda ospedaliero-universitaria Policlinico Sant’Orsola Malpighi di Bologna e Lisa Berti, dirigente medico della Sc di Medicina fisica e riabilitativa all’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna e professore associato all’Università di Bologna.
«Il fil rouge del congresso – dichiarano i presidenti – è rappresentato, attraverso le relazioni delle sezioni, da uno sguardo al passato e di come questo abbia influenzato e influenzi la pratica clinica, oltre a sessioni specifiche su temi cruciali della nostra disciplina, come la Sdo riabilitativa, il nomenclatore tariffario, la prescrizione degli ausili e la continuità ospedale-territorio. Non mancano spunti nazionali e internazionali in merito a temi d’attualità come l’impatto della crisi energetica e delle modificazioni climatiche sulla disabilità».
Presidenti, quali sono le indispensabili eredità del passato della disciplina che è necessario trasmettere alle nuove generazioni? La pratica clinica è più influenzata dal passato o dalle spinte tecnologiche che la proiettano nel futuro?
Tutte le discipline mediche, e quindi anche la medicina riabilitativa, sono state interessate negli ultimi anni da un enorme sviluppo tecnologico e da una tendenza all’iperspecializzazione. Tutto questo arricchisce sicuramente la nostra pratica clinica e ci consente di dare risposte sempre più evidence-based, efficaci e di reale impatto ai nostri pazienti. Infatti, l’attività del fisiatra moderno non può prescindere dalle conoscenze di telemedicina, robotica, digitalizzazione, interventistica e diagnostica strumentale. Vi sono inoltre delle basi della disciplina che non devono e non possono essere dimenticate; fondamenti tecnici, principi, conoscenze biomeccaniche e neurofisiologiche, che non sono solo storia della medicina e della fisiatria ma sono indispensabili strumenti da possedere per poter dare ai malati risposte personalizzate e il più corrette possibili. Infatti, non tutti i pazienti e non tutte le situazioni patologiche richiederanno esami strumentali sofisticati o dispositivi robotici, ma sicuramente tutti i pazienti avranno bisogno di un esame clinico accurato che guidi la diagnostica, un’anamnesi attenta pronta a cogliere eventuali situazioni meritevoli di approfondimento e la costante capacità di guardare al malato a 360 gradi, come è proprio dello specialista fisiatra, secondo il modello bio-psico-sociale, per una reale presa in carico della persona.
Uno degli argomenti di interesse attuale per la disciplina è il nomenclatore tariffario. Perché è un documento importante e qual è la situazione attuale?
Con l’entrata in vigore dei nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), la maggiore novità riguarda le tempistiche di entrata in vigore dei nuovi tariffari. Infatti, dal primo gennaio del prossimo anno saranno attivi quelli per l’assistenza specialistica ambulatoriale e dal primo aprile quelli relativi all’assistenza protesica.
Il nuovo nomenclatore provvede al necessario e atteso aggiornamento del nomenclatore disciplinato dal decreto ministeriale 22 luglio 1996, includendo prestazioni tecnologicamente avanzate ed eliminando quelle ormai obsolete. Vengono introdotte numerose procedure diagnostiche e terapeutiche che nel 1996 avevano carattere quasi sperimentale oppure erano eseguibili in sicurezza solo in regime di ricovero, ma che oggi sono entrate nella pratica clinica corrente e possono essere erogate in ambito ambulatoriale. Introduce prestazioni di elevatissimo contenuto tecnologico o di tecnologia recente. Il nuovo nomenclatore dell’assistenza protesica consentirà, tra l’altro, di prescrivere: ausili informatici e di comunicazione per persone con gravissime disabilità, posaterie e suppellettili adattati per le disabilità motorie, barella adattata per la doccia, scooter a quattro ruote, carrozzine con sistema di verticalizzazione, carrozzine per grandi e complesse disabilità, sollevatori fissi e per vasca da bagno, sistemi di sostegno nell’ambiente bagno (maniglioni e braccioli), carrelli servoscala per interni, arti artificiali a tecnologia avanzata e sistemi di riconoscimento vocale e di puntamento con lo sguardo.
Quali problematiche restano aperte?
Dal punto di vista metodologico il nomenclatore ha origine dalle proposte formulate nel corso degli ultimi dieci anni da regioni, società scientifiche, soggetti ed enti che operano nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, relativamente all’inserimento di nuove prestazioni.
Quindi possiamo dire che sicuramente c’è stato un importate cambiamento rispetto al vecchio nomenclatore ma che vi sono molte problematiche legate ai costi delle prestazioni ambulatoriali che, per come sono state impostate, non riusciranno nemmeno a coprire i costi di produzione, con evidenti difficoltà nell’erogazione da parte di strutture private accreditate e anche di strutture pubbliche. Tutto questo comporterà un aggravio di spesa per le persone disabili che per potersi curare saranno costrette a spendere soldi di tasca propria. La Simfer sta collaborando con altre società scientifiche ed è inserita tra le società che fanno parte del tavolo tecnico ministeriale per proporre delle soluzioni affinché vengano riconosciuti costi adeguati per le prestazioni ambulatoriali, tali per cui le persone con disabilità possano trovare le giuste risposte ai loro fabbisogni senza dover ricorrere a ulteriori spese personali.
Parliamo di continuità ospedale-territorio. È un tema di cui si parla molto, ma cosa si è fatto di concreto finora e che prospettive ci sono?
La creazione di una rete di continuità ospedale-territorio è certamente la sfida del nostro presente e del nostro futuro. Invecchiamento della popolazione, aumento delle cronicità e dell’aspettativa di vita sono alcuni dei fattori di cambiamento più importanti con cui il nostro sistema sanitario si sta confrontando.
Secondo le stime di Osservasalute 2018, le persone ultra 65enni con gravi limitazioni motorie passeranno dai tre milioni di oggi ad oltre tre milioni e mezzo nel 2028. Questa tendenza epidemiologica rende necessario attivare servizi di cure intermedie per la gestione delle fasi di transizione tra la malattia acuta e cronica, con l’obiettivo di garantire la continuità di cura tra servizi ospedalieri e territoriali (e viceversa tra servizi territoriali e ospedalieri), e ridurre il ricorso non appropriato ai servizi sanitari.
La recente pandemia da Covid-19 ha enfatizzato ulteriormente la pericolosità delle logiche “ospedalocentriche”, ottimali per la gestione acuta ma inadatte a garantire la “presa in carico” del malato cronico, pluricomorbido e spesso disabile. La politica sanitaria attuata negli ultimi anni, anche in conseguenza del Dm 70/2015, ha portato a una progressiva diminuzione dei posti letto per acuti, con l’obiettivo teorico di spostare risorse verso i servizi territoriali. Tuttavia, nella pratica, questo non è ancora avvenuto in modo efficace, e sono emerse tutte le note criticità organizzative di sistema. In particolare, la sfida ancora aperta è garantire la presa in carico del paziente, dall’inizio al completamento del suo percorso di salute, definendo standard qualitativi, strutturali e tecnologici. I concetti organizzativi che devono essere creati e potenziati sono quelli di continuità assistenziale, dimissioni protette, integrazione sociosanitaria, medicina territoriale, assistenza domiciliare, residenze sanitarie assistenziali, case della salute, ospedali di comunità, infermieri di comunità e telemedicina.
È necessario creare gruppi multidisciplinari e multiprofessionali che si confrontino e integrino, rendendo meno rigida la distinzione tra ospedale e territorio, creando anche un adeguamento delle procedure amministrative e informatiche delle dimissioni ospedaliere. Occorre avviare azioni e investimenti in termini di risorse per sviluppare una vera connessione tra ospedale e territorio. Individuare e formare nelle università professionisti di continuità: medici, infermieri, fisioterapisti, altri operatori che si coordinano in team di cure intermedie. E all’interno di questi gruppi devono collaborare anche operatori del sociale, che valutino i bisogni e che stilino progetti assistenziali individuali.
Insomma, l’obiettivo è ambizioso e c’è ancora molto lavoro da fare, sia in termini pratici, prettamente procedurali, che di concetto, in quanto non è facile staccarsi dal concetto, sia da parte degli operatori che degli assistiti, che in ospedale si concentri la qualità delle cure mentre “fuori” ci sia un “nulla assistenziale”.
Renato Torlaschi
Giornalista Tabloid di Ortopedia